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Pino Daniele: «Fiero di non essere come Vasco e Ligabue»
Non sarà una delle migliori estati, nel senso che la crisi si fa sentire anche nel mondo dei concerti, ma Pino Daniele ha più di un motivo per sentirsi libero e leggero.
Da tempo si è svincolato dagli obblighi della popstar e ha scelto la via del musicista che si diverte a suonare per suonare. Ed è con questo spirito che quest’estate si è messo in viaggio con una superband che conta sulle tastiere di Rachel Z, che già lavora con lui da qualche anno; sulla presenza, anche lui alle tastiere, di Gianluca Podio, da tempo direttore artistico delle band di Pino; sul basso di Solomon Dorzey; e sulla batteria di un virtuoso dello strumento come Omar Hakim, uno che nella sua carriera ha lavorato con Miles Davis e gli Weather report. Naturalmente, a completare l’organico c’è la sua chitarra di leader.
Stasera la comitiva fa tappa allo Stadio del Baseball di Nettuno con un concerto che lascia grande spazio ai talenti dei suoi interpreti durante due ore di musica in cui c’è l’occasione di ascoltare i pezzi traino che fanno parte dell’ultimo cd del cantautore napoletano, La grande madre, dal brano che dà il titolo al disco (la grande madre di cui si parla è l’Africa).
Da Melodramma, una ballad che cerca di tenere insieme i suoni della chitarra con la tradizione del bel canto, alla rivisitazione di Wonderful tonight dell’amico Eric Clapton, tradotta in italiano dallo stesso Daniele. «L’idea è nata nei camerini di Cava dei Tirreni prima del concerto che abbiamo fatto insieme l’ estate scorsa ha raccontato Pino . La cosa buffa è che a lui il pezzo non piace, si scoccia di suonarlo. Gli ho detto io di farlo. Poi visto che in inglese non mi veniva bene ho scritto le parole in italiano». Infine, Searching for the water of life, dedicato all’associazione internazionale Save the children.
Ma fra i trenta titoli in programma c’è anche un ampio ricorso a quello splendido repertorio sedimentato in trentacinque anni di carriera, tanti quanti ne sono passati dal folgorante debutto discografico del 1977 con Terra mia, passando da Napul’è a Che male c’è, a Je so’ pazzo, a A me me piace ’o blues, a Io per lei, a Yes I know my way, eccetera, eccetera. Il tutto con lo spirito del musicista più che da cantautore. Dice: «Mi sento un chitarrista che canta, non posso fare dischi alla David Guetta, non mi interessa scrivere canzoni che siano adatte alla radio».
Lo stesso spirito anima La grande madre, tributo alla musica che lo ha formato e che ha amato per tutta la vita e che si muove in un territorio fertile dove si incrociano, jazz, blues, pop, latin, rock.
Si tratta, infatti, di un album della libertà, anche perché finalmente realizzato in proprio, svincolato da contratti con le major. «Basta continua Daniele farsi approvare i dischi da qualche testa pelata della discografia».
E’ la sua linea. L’album l’ha impostato su un sound riconoscibile, che non concede nulla all’apparato extra musicale. E che, sempre più spesso, accompagna le esibizioni concertistiche del mondo rock: «Uto Ughi mica si mette a dire barzellette: suona e basta», rivendica oggi Pino, che ci tiene a specificare di «non essere fenomeno di costume come Vasco e Liga» o, almeno, di non esserlo più.
E, anzi, addirittura proclama: «Non faccio parte del mondo dello spettacolo, forse ne facevo parte vent’anni fa, ma oggi mi sento spesso un pesce fuor d’acqua».
di Marco Molendini
(Martedì 14 Agosto 2012)
Pino Daniele al Neapolis Festival tra nuovi brani e grandi classici
Non siamo negli anni ’80 al concerto di Piazza del Plebiscito dove le presenze ufficiali contavano 200.000 persone né parliamo del concerto a Cava dè Tirreni del 1993 dove la folla in delirio invade lo Stadio Simonetta Lamberti per assistere ad uno dei concerti più memorabili, da cui è tratto l’album“E Sona Mò”. Ma siamo nel 2012, Campo Sportivo G. Troisi a Giffoni Valle Piana, Pino Daniele in scena al Neapolis Festival che quest’anno vede per la prima volta la fusione con uno dei festival più importanti al mondo: il Giffoni Film Festival. Il tour La Grande Madre, tratto dall’omonimo album, porta il bluesman italiano in giro per l’Italia e anche all’estero (a in europa e negli USA a New York, Boston, Washington D.C.) che ha già fatto registrare il tutto esaurito. Cambiano i musicisti, cambiano gli scenari, il tempo passa. Ma il sorriso, la magia dell’arpeggio di chitarra autentico, unico ed inimitabile restano ancora intatti. Ciò che si ascolta nei cd – nelle registrazioni studio, cioè – lo si apprezza dal vivo; questo è il talento che madre natura è capace di regalare.
Oltre 6.000 i presenti al Campo Sportivo G. Troisi di Giffoni Valle Piana per il primo di una serie di concerti che vedranno esibirisi tra gli altri Caparezza, Club Dogo, Dinosaur Jr., Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti ePatti Smith. Per quest’ultima si contano già 10.000 biglietti venduti. La folla si spalma in lungo e in largo al Campo Sportivo, le famiglie con bambini a seguito si posizionano sulla tribuna in posizione laterale rispetto al palco, mentre i più affezionati si affannano per aggiudicarsi il posto in prima fila, con l’addome poggiato sulle transenne. Molti giovani presenti, ragazzi e ragazze accorsi da ogni parte della Campania ed anche qualche nostalgico che si lascia andare tra una birra ed un aneddoto (una signora intratteneva un comizio con un gruppo di amiche lasciando riaffiorare i ricordi che la legano a quel 22 Maggio 1993, il concerto a Cava dè Tirreni). L’aria umida e poco ventilata non scoraggia nessuno dei presenti, impazienti solo di veder spuntare dal backstage la sagoma di uno dei musicisti più influenti del panorama musicale italiano, capace di regalare canzoni entrate di diritto nell’immaginario – e nel cuore – collettivo.
Il repertorio conta 23 canzoni tra successi degli anni ’80 e canzoni tratte dall’ultimo album “La Grande Madre”. Ilcorpus di canzoni che propone la scaletta viaggia all’unisono con quello che è l’intento dell’artista stesso: ripercorrere con il suo pubblico le tappe principali che hanno segnato un’intera generazione, nonchè la propria storia personale. Certo anche la band è cambiata (non ci sono gli storici James Senese, Tullio De Piscopo e Tony Esposito) ma le new entry non hanno nulla da temere ma tutto da dimostrare. E lo spettacolo si lascia apprezzare in pieno. Alla batteria Omar Hakim, Rachel Z al piano, Solomon Dorsey al basso (che per l’occasione sfoggia un abbigliamento da scolaretto) e Gianluca Podio programmazioni e tastiere riescono a creare quell’alchimia con il tocco aulico ed unico della chitarra di Pino Daniele, mentre il pubblico ci pensa da sé a cantare a squarciagola tutti i grandi successi e non solo. Del resto, se Pino Daniele ha comunque perso in parte quell’incazzatura che si apprezzava nelle sue canzoni, quella voglia di rivoluzione che ogni giovane non disprezza, ora si può apprezzare la musica; come i bluesman nati e cresciuti nel Mississipi hanno incarnato una generazione, anche l’Italia non è da meno per gli amanti della buona musica.
L’inizio era previsto per le ore 22:00 ma alle 21 e 50 si spengono i riflettori del Campo Sportivo per far posto a quelli che illuminano il palco. Nel frattempo il pubblico da circa un’ora comincia a scaldare voce ed anima, impaziente e pretenzioso di veder spuntare il loro idolo. Lo show si divide in tre parti: la prima parte vede la chitarra e la voce di Pino Daniele, una jam session inserita nell’ultimo album (Coffee Time – ‘O frà), un unplugged chitarra acustica e voce e la band. Si comincia con “Invece no” (Un Uomo in Blues – 1991), “Amore senza fine” (Yes I know My Way – 1998), “Quando” (Yes I Know My Way – 1998), “Se mi vuoi” (Non calpestare i fiori nel deserto – 1995),“Putessse essere allero” (Pino Daniele – 1979) cantati in sequenza chitarra elettrica e voce senza che il pubblico avesse modo di realizzare, cinque grandi successi piombano nelle orecchie e nel cuore dei presenti e qualcuno si lascia trasportare in un nostalgico ricordo. Subito dopo la jam sessione presente nell’ultimo album con le canoni “Coffee Time” e ” ‘O Frà”. Qui si apprezza in pieno la bravura e la tecnica dei musicisti che accompagnano Pino Daniele in questo tour. L’atmosfera è sublime, sembra di essere in una taberna con un gruppo di amici che improvvisano delle note di blues in sequenza. Chiusa la parentesi strumentale, avanti la band all’unisono.
Il primo singolo estratto dall’ultimo album, “Melodramma” ed un salto nel passato con “A testa in giù”(Nerò a metà – 1980) l’album che ha consacrato la stile di Pino Daniele. “Stare bene a metà” (Dimmi cosa succede sulla Terra – 1997) e il successo planetario di “Napul’è” (Terra Mia – 1977). Ancora, “Dubbi non ho” (Dimmi cosa succede sulla Terra – 1997) e “Che male c’è” (Dimmi cosa succede sulla Terra – 1998); segue una splendida versione piano e voce di “Quanno Chiove” (Nero a metà – 1980) e “Anna verrà” (Mascalzone Latino – 1989). E arriva così il medley in old style: Piano Daniele imbraccia la sua chitarra acustica e si lascia accompagnare dalla voce del pubblico e dai musicisti sulle note di “I Still love You” (La Grande Madre – 2012),“Je sò Pazzo” (Pino Daniele – 1979), “Boogie Boogie Man” (Boogie Boogie Man – 2010), “Io per Lei” (Non calpestare i fiori nel deserto – 1995), “A mè me piace ‘o blues” (Nero a Metà – 1980). Ancora due pezzi tratti dall’ultimo album “Niente è come Prima” e “La Grande Madre” prima di concedersi una breve pausa di 5 minuti mentre il pubblico non contento invoca a gran voce “Pino, Pino Pino, Pino”. Sembra essere tornati indietro nel tempo, seppure è un’effimera illusione.
E’ arrivato così il tempo delle ultime due canzoni: “Che Dio ti Benedica” (Che Dio ti Benedica – 1993) e il successo di “Yes i Know My Way” (Vai mò – 1981) dove ha cantato per intero il pubblico protagonista della serata mentre i musicisti si divertivano sul palco. 23 canzoni per un totale di 1 ora e 45 minuti di musica, un giro su e giù per la storia (quella italiana s’intende) e la consapevolezza che la musica di qualità, ancora una volta, è sempre padrona in un palcoscenico mondiale che a tutto bada tranne che alle emozioni.
di Angelo Moraca