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Pino è: concertone con i suoi «friends» al San Paolo

    (08 giugno 2017)

Sul palco gli artisti che hanno collaborato con lui italiani e internazionali

 

 

Ora è ufficiale, l’annuncio l’ha dato Carlo Conti, in diretta su Raiuno dall’Arena di Verona, durante i «Wind music award»: lo stadio San Paolo ospiterà il concertone-tributo a Pino Daniele nel giugno 2018. Immaginato da Ferdinando Salzano, manager del Nero a Metà all’indomani della sua scomparsa il 4 gennaio 2015, il memorial era stato più volte rimandato per problemi organizzativi, ma anche di asse ereditario, che ora sembrano risolti. Tanto che ieri la notizia è stata ribadita dalle pagine social della Pino Daniele Trust onlus, la fondazione gestita da Alex Daniele, figlio e personal manager del cantautore, che, senza aggiungere altre notizie, ha pubblicato una prima grafica dell’evento, che si intitolerà «Pino è». Tre silhouette disegnate del musicista che, da sinistra verso destra, viene ritratto in un viaggio a ritroso nel tempo, citando celebri scatti fotografici, sempre armato di chitarra: un’immagine recentissima, con i capelli corti, una ben più zazzeruta con la Paradis degli anni Novanta, una del periodo d’oro con il supergruppo verace, con i capelli scuri tenuti da una fascia.

Numerosissimi, condivisioni e commenti sul web testimoniano l’attesa per l’evento, con i più che vorrebbero conoscere data e cast. Salzano, Daniele junior e i loro collaboratori al momento preferiscono non dire di più, e nomi non escono nemmeno dal Comune e dal Calcio Napoli, a cui gli organizzatori si sono rivolti sin dal primo momento, ottenendo disponibilità e collaborazione. De Magistris è pronto a spendersi in prima persona per la riuscita dell’omaggio, in sintonia con le operazioni pinodanieliane messe in campo finora dal Comune.

La filosofia di fondo dello show dovrebbe essere quella di evitare passerelle alla Festivalbar di una volta: sul palco dovrebbero esserci quei colleghi che in vita hanno collaborato con il suonautore, un elenco lunghissimo, che potrebbe essere esteso anche ai suoi «friends» internazionali, da Noa a Pat Metheny e – e qui il sogno si fa davvero mega – Eric Clapton. In primis, Salzano sta sondando la disponibilità degli artisti della sua scuderia, la Friends and Partners: Francesco De Gregori, Zucchero, Renato Zero, Biagio Antonacci, Fiorella Mannoia, Francesco Renga, Mario Biondi. Proprio a Verona, dove Salzano ha dato l’avvio all’operazione, potrebbe aver sondato le disponibilità di altri artisti che sono stati partner di Pino, come Loredana Bertè, Giorgia, Eros Ramazzotti. Jovanotti, Claudio Baglioni, Gino Paoli, Laura Pausini, addirittura Vasco Rossi, oltre alla banda del suo supergruppo orfano di Rino Zurzolo (Senese, De Piscopo, Esposito e Amoruso) e ai nipotini napoletani (Clementino, Raiz, Rocco Hunt, i 99 Posse) potrebbero essere coinvolti. Come anche una grande orchestra e, si era mormorato in passato, un’orchestra di ragazzi dei quartieri a rischio partenopei. L’operazione, infatti, dovrebbe prevedere anche ricadute sociali e benefiche.

Intanto, le sezioni jazz e pop rock del Premio Nazionale delle Arti sono state intitolate al lazzaro felice e la Pino Daniele Trust onlus pagherà le borse di studio ai vincitori: le fasi finali jazzistiche si terranno il 16 e 17 giugno al conservatorio Verdi di Milano, quelle pop rock il 24 giugno al Teatro Romano di Benevento. Perché «Pino è», come dimostra giorno dopo giorno anche il moltiplicarsi di tributi in suo onore, di cover band che rilanciano il suo repertorio, di progetti documentari, teatrali, televisivi, editoriali.

 

di Federico Vacalebre

Rai2 ripropone Unici “Tu dimmi quando – Pino Daniele”

 

Mercoledì 3 giugno, a mezzanotte, Rai 2 ripropone la puntata di UniciTu dimmi quando – Pino Daniele” (con l’aggiunta di ulteriori contributi inediti). Il programma, raccontato dall’autore Giorgio Verdelli, ha riscontrato ottimi consensi anche su Rai Replay e sui social network. Inoltre, una sintesi del programma è stata proposta lo scorso 19 maggio a Napoli per la manifestazione “Maggio dei monumenti” dedicata a Pino Daniele.

Pino Daniele è stato soprattutto espressione di una peculiare relazione col territorio, in un rapporto “intimo” con Napoli, un’intimità che non gli ha impedito di diventare artista internazionale e una sorta di “guru” di quella musica dell’anima che oggi si definisce glocal. Ma Pino Daniele ha una importanza che va molto aldilà della valenza musicale delle sue canzoni. L’artista, insieme ai tanti musicisti che hanno collaborato con lui e hanno creato un suono unico, ha significato una Napoli diversa, antichissima e moderna insieme, in cui gli spiriti della “Bella ’mbriana” e quelli del pallone andavano a braccetto col blues, Pulcinella, la tamurriata ed il funky.

Le sue canzoni, oggi più che mai fanno da guida, conducono, alla stregua di “genius loci”, in tanti percorsi all’interno della città e dei “mondi” raccontati: il mondo di un ragazzo che non si accontentava della “tazzulella ‘e cafè” perché aveva un’urgenza di raccontarsi dentro quella che per sempre è rimasta “Terra Mia”.

Nel programma importanti contributi di amici e collaboratori del cantautore partenopeo: da James Senese a Tullio De Piscopo, Toni Esposito, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Gigi De Rienzo, Ernesto Vitolo sino ad Enzo Avitabile, Rocco Hunt e Clementino.

Spicca un’intervista esclusiva ad Edoardo Bennato, che ricorderà le origini musicali di Pino Daniele, con cui ha condiviso anche alcuni musicisti. Ed ancora Roberto De Simone, fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare, il regista ed autore Mario Martone, lo scrittore Maurizio De Giovanni oltre ad un particolare omaggio realizzato da Tony e Peppe Servillo.

Enzo Gragnaniello tornerà nella scuola elementare che frequentava con Pino Daniele e ritroverà il registro di classe. Dalla scuola al vicino Bar Battelli, dove Gragnaniello faceva il garzone e di cui si parla nel brano “Na Tazzulella ‘E Cafe’”.

Altro luogo molto amato dal cantautore è la Pizzeria del Gallo, nel rione Sanità di Napoli: in questo locale Pino Daniele ha scritto, appuntandole sui tovaglioli, le prime canzoni. Lo ricorderanno Rosario Jermano, il primo a suonare con il musicista, Peppe Lanzetta e Gino Giglio. Non mancheranno filmati inediti, come quello del ‘92 ad Umbria Jazz dove nel backstage arriva anche Massimo Troisi o una festa privata dei primi anni ’90 con l’artista che suona la celebre “Tu dimmi quando” ed una cover di Jimy Hendrix. Ancora Ciro Ferrara ci mostra il filmato della festa a casa sua con Pino che suona “Je so Pazzo” e Maradona che balla con gli altri calciatori del Napoli. Altri momenti inediti saranno raccontati da Gianni Guarracino (della prima band di Daniele) e dal leader degli Osanna, Lino Vairetti, che nel 1975 si occupava anche di fotografia e realizzò alcuni scatti per l’esordio discografico di Pino Daniele. Alcune di quelle foto esclusive saranno mostrate nel corso dello speciale “Unici”. Anche i produttore cinematografici Gaetano Daniele e Claudio Bonivento ricorderanno l’artista. Non mancheranno provini rarissimi, che faranno ascoltare la versione embrionale di “Napule è” e ricordi del fratello Nello Daniele, di Gianni Minà, Eros Ramazzotti, Jovanotti, Ornella Muti e Renzo Arbore.

“Unici” è un programma scritto e diretto da Giorgio Verdelli con la collaborazione di Annalisa Manduca, Umberto Santoro e Silvia Fiorani.

Pino Daniele al Palapartenope, emozioni senza tempo

 

Masaniello è cresciuto, è vero, ma ogni anno torna e sono emozioni, sensazioni, ricordi, orizzonti che si aprono davanti a un passato che brilla come l’oro. O come loro, musicisti napoletani rari da trovare nel panorama nazionale e internazionale: tutti alle dipendenze del Masto, del Nero a metà che ama tessere nuove relazioni e nuove melodie, anche se le canzoni hanno trenta e passa anni. Il Palapartenope è pieno in ogni ordine di posto, la gente ha voglia di godere della musica dei suoi mascalzoni: Pino Daniele è in gran forma, James Senese e Tullio De Piscopo sono i soliti concentrati di groove, Rino Zurzolo è una sola cosa con il suo basso, Elisabetta Serio, Ernesto Vitolo, Agostino Marangolo, Gigi De Rienzo e Rosario Jermano completano alla grande un quadro variopinto che trasmette sentimenti senza tempo.

La serata si apre con A testa in giù e I say je sto ccà, poi l’intro di ‘A me me piace ‘o blues scatena i cuori e le mani del Palapartenope prima di lasciare spazio ad una fantastica Voglio di più: “sai che non striscerò per farmi valere”, canta Pinuccio, che ha ricevuto e continua a ricevere critiche per alcune scelte ma che quando sale sul palco con la sua chitarra lascia pochissimo spazio ai mugugni. Resta cu’ mme canta un amore di cui non si può fare a meno, Alleria sembra riprendere il discorso lasciato sospeso con Voglio di più: “passa ‘o tiempo e che fa se la mia voce cambierà”. Non fa niente, se poi ogni volta ci regali il paradiso con le tue note.
“Adesso suoneremo un pezzo che non faccio spesso”, annuncia Pino: è Sulo pe’ parlà, una perla di rara bellezza concentrata in un minuto o poco più nel quale il pubblico resta con il fiato sospeso prima di sciogliersi in un applauso scrosciante. Appocundria fa l’occhiolino al flamenco con la chitarra di Gianni Guarracino, poi arrivano Mareluna, Vento di passione, ‘Na tazzulella ‘e cafè e I got the blues, un’altra pietra miliare del repertorio dell’artista napoletano. Al pubblico bastano le prime quattro parole, “Tu dimmi quando quando”, per sentire il brivido di un’amicizia che non finisce di emozionare in una delle più belle canzoni della storia della musica italiana, mentre in Je so’ pazzo non vede l’ora di urlare insieme al suo beniamino “Nun ce scassate ‘o cazzo!”.
Pino chiama sul palco suo fratello Nello Daniele e il compagno di scuola Enzo Gragnaniello, che incrociano le voci in Donna Cuncetta e Chi tene ‘o mare: “Chi tene ‘o mare cammina cu ‘a vocca salata…”, non si potrebbe descrivere meglio l’amarezza di una città che non sa sfruttare le sue potenzialità. I musicisti giocano su Sotto ‘o sole, E so’ cuntento ‘e sta precede la storica Quanno chiove, che accoglie il rap di Rocco Hunt, visibilmente emozionato e forse per questo apparso non al meglio. Dettagli, la musica continua insieme al sogno di un repertorio indimenticabile: Musica musica, Nun me scuccià, Puozze passà nu guaio, Io per lei, Tutta n’ata storia; ogni canzone ha il suo perché, ogni vecchia melodia è resa nuova da stupendi arrangiamenti. ‘O scarrafone è un grido contro la Lega che continua a essere una vergogna, con Clementino che rappa alla grande e chiama in causa Matteo Salvini.
La festa si chiude con Yes I know my way e il consueto bis con Napule è e E sona mo’, sulla quale i due “artisti del futuro” (come li ha definiti lo stesso Daniele) si danno alla pazza gioia inserendo anche i ritornelli dei pezzi che li hanno portati all’attenzione generale, ‘O viento e Nu’ juorno buono, e ringraziano Zio Pino per un’occasione speciale.
Domani si replica, sempre al Palapartenope. Ma saranno emozioni nuove, questo è certo.

 

 

di Pierpaolo Orefice

Pino Daniele, l’apologia live di “Nero a metà”

 

L’apologia live di “Nero a Metà” non è solo un evento bensì una vera e propria costatazione tangibile di come Pino Daniele rappresenta per il suo popolo – e per la musica italiana – un vero e proprio pioniere e mentore. Sogna ancora di dar vita ad un festival tutto suo, un festival del mediterraneo, ma nel frattempo fa registrare il tutto esaurito in ogni location in cui porta il suo neapolitan sound…quello nato nei vicoli dell’undergroundpartenopeo in compagnia degli amici storici. Ora come prima. “Nero a Metà” è l’album della consacrazione, prodotto da Willy David nel 1980 (etichetta EMI Italiana) e ancora oggi suona bene. Ci ha pensato anche Rolling Stone Italia ad inserirlo al 17° posto tra i 100 migliori dischi italiani di tutti i tempi.

Gioca in casa il mascalzone latino e con lui gli amici di un tempo che si ritrovano sul palco del Palapartenope di Napoli la sera del 16 Dicembre (si replica questa sera) per dar spazio ad unsound che è il marchio di fabbrica di Pino Daniele. Ad attenderlo più di 3000 persone impazienti fino all’ultimo di vedere sul palco i protagonista della colonna sonora della loro vita. Si parte con “A testa in giù”, tono scherzoso ma consapevole dice al pubblico “Abbiamo trovato questo suono per caso e lo abbiamo portato avanti”. Ad accompagnarlo James Senese al sax, Ernesto Vitolo alle tastiere, Rosario Jermano alle percussioni, Rino Zurzolo al contrabbasso, Gigi De Rienzo alla chitarra che accompagna Pino Daniele sulle note di“Alleria”, “I got the Blues” e “Puozze passà nu guaio”, Agostino Marangolo alla batteria, Elisabetta Serio al piano e alle tastiere e la partecipazione di Tullio De Piscopo.

“Voglio di più”, “Musica Musica”, “I say i’ sto’ ccà”, “A me me piace ‘o blues”,“Appocundria”, “E’ so cuntento ‘e stà”, “Sott ‘o sole” quasi tutte in sequenza perché questo è il tour “Nero a Metà” e tutto l’album è intriso di grandi capolavori oramai entrati di diritto nella storia della musica italiana. Nel mezzo ci troviamo “Nà tazzulella ‘e cafè”, “O’ scarrafone”, “Quando” e “Quanno chiove” momento in cui sul palco piomba il giovanissimoRocco Hunt che dice divertito “ma dove stava scritto che a 20 anni mi trovo sul palco insieme a Pino Daniele!?”

E poi ancora “Resta resta cu mmè”, “Je so pazzo” perché Pino Daniele dice “Nun sò bbuono a parlare, so soltanto suonare”. E sul palco arriva l’altro giovanissimo Clementino, che si diverte sulle note di “Yes I Know my Way” prima di cimentarsi in un esilarante duetto con Rocco Hunt sulle note di “E’ sona mò” mescolata con le strofe dei loro successi più conosciuti “Nu juorno buono” e “O’ vient”. Prima dei saluti ufficiali c’è anche tempo per l’intramontabile“Napul è” mentre la gioia e il divertimento traspare dai volti dei protagonisti, degli ospiti e del pubblico partecipante.

Quello che risalta maggiormente all’occhio è che per davvero la musica in ogni suo forma è un collante perfetto per dimenticare, anche solo per un istante, tutti gli affanni. E i musicisti, quelli veri, non smettono mai di divertirsi per questo. Né di divertire.

 

 

di Angelo Moraca

Daniele & Friends, la magia continua: show con Clementino e Rocco Hunt

 

Il mucchio selvaggio del neapolitan power (ri)annoda fili mai spezzati, mette in mostra le radici nobili e i frutti più recenti e succosi. Sono teneri, emozionati, fieri, Clementino e Rocco Hunt mentre aspettano il proprio turno dietro il palco di «zio Pino». Sono giganti James Senese e Tullio De Piscopo, l’uomo chiamato sassofono e l’uomo chiamato tamburo, mentre regalano schegge veraci di America napoletana, di Napoli americana.

È un lazzaro più che mai felice Daniele, che intorno a «Nero a metà», lp-capolavoro del 1980, ha cucito questa nuova avventura che va oltre l’amarcord e non solo perché i rapper newpolitani sparano rime che vestono di nuovo groove e melodie che sono carne viva della città porosa, della nuova Napoli sognata e mai costruita, della grande bellezza verace immersa nella nuttata che non passa mai. Il Palapartenope è gremito, la giornata di pioggia non ha tenuto a casa nessuno, tanto stanotte diluvia with love, altro che schizzicheare. L’uomo in blues guida una doppia superband che nessun altro può permettersi in Italia, anche perché nessun altro è «suonautore» come lui. C’è la formazione originale di quello storico terzo lp (Gigi De Rienzo al basso, Agostino Marangolo alla batteria, Ernesto Vitolo alle tastiere, Rosario Jermano alle percussioni), ma anche Senese e De Piscopo, e poi Rino Zurzolo al contrabbasso, ed Elisabetta Serio alle tastiere.

I cambi di set sono cambi di atmosfera, il momento acustico cucito intorno ad «Appucundria» spezza il fiato, il flamenco sa di tufo con la chitarra ospite di Gianni Guarracino. In fondo, il rito recente di «Tutta n’ata storia» continua così, con musicisti che si ritrovano, con note che si confondono. «A testa in giù» e «I say ’i sto cca’» aprono la serata, quando arriva «A me me piace ’o blues» non ce n’è più per nessuno e più della nostalgia canaglia può il beat dei mascalzoni latini, la solidità contemporaneissima di un repertorio che non mostra una ruga. «Voglio di più», «Quanno chiove» con le strofe melodiche di Rocchino da Salerno, «Nun me scuccià», «Puozze passa nu’ guaje» con il suo ritmo blues-reggae che racconta un’intera epoca sonora sotto forma di esorcismo, «’O scarrafone» rappato da Clemente che Sanremo non va voluto ma non ha bisogno di santi in Paradiso per un flow travolgente che Moreno e Nesli non si potranno mai permettere.

«Je so’ pazzo» cerca masanielli prossimi venturi, sul palco si divertono almeno quanto sotto il palco, e si vede, e si sente ascoltando «Alleria», «’Na tazzulella ’e cafè», «I got the blues», «Quando», «Sotto ’o sole», «Musica musica». Ai microfoni arrivano anche Enzo Gragnaniello e Nello Daniele, alla prima esibizione dopo un’operazione di by-pass. Pino li chiama in campo per dividere «Donna Cuncetta», lamento dell’armonia perduta e anzi mai esistita, elegia del tuppo nero, canzone della consapevolezza che «’o tiempo d’’e cerase è già fernuto». Per ricordare con loro che «chi tene ’o mare, o’ssaje, nun tene niente». Daniele è in forma, si sente a casa e si gode il calore di chi lo segue da sempre come dei fans più giovani.

La voce si scalda brano dopo brano, le sue chitarre – acustiche ed elettriche – anche di più, tra assoli latini, echi di flamenco, citazioni malandrine. I finali corali spesso sono caciaroni, magari anche questo non sfugge alla regola, ma la foto di gruppo e la carica dei neri a metà è un’emozione da ricordare. «Yes I know my way» cantano, rappano e suonano quelli che quel pezzo l’hanno visto nascere e quelli che non erano ancora nati. «Napule è», ricordano, sorridenti ma pensosi, mentre a «voce d’’e criature saglie chiano chiano e tu saje che non si sulo», nonostante la città irriconoscibile che ti circonda. «E sona mo’, sona mo’, sona mo’», allora, che non ci sono parole per dire la Partenope perduta eppure ritrovata in un pugno di note a cui si aggiungono, nel tripudio generale, quelle di «’O viento» e di «Nu juorno buono». E stasera si replica.

 

 

di Federico Vacalebre

I rapper CLEMENTINO e ROCCO HUNT Special Guest il 16 e il 17 dicembre al Pala Partenope per “NERO A METÀ”

 

Dopo il successo del concerto-evento dello scorso 1° settembre all’Arena di Verona, il 16 e il 17 dicembre PINO DANIELE ritornerà nella sua Napoli per un doppio concerto al Pala Partenope (Via Barbagallo 115 – ore 21.00) con “NERO A METÀ”. Ospiti delle due serate i rapper Clementino e Rocco Hunt.

“NERO A METÀ” è un grande spettacolo dove saranno protagoniste tutte le canzoni contenute nell’omonimo terzo album di Pino del 1980, grandi successi da “Quanno chiove“, “Alleria“, “Voglio di Più“, “Nun me scuccià” al brano che dichiara la sua passione di sempre “A me me piace ‘o blues”.

Insieme all’artista la band composta dai musicisti che parteciparono alle registrazioni dello storico album: Gigi De Rienzo (basso), Agostino Marangolo (batteria), Ernesto Vitolo (piano, tastiere ed organo) e Rosario Jermano (percussioni).

…E non solo!

“NERO A METÀ” è un’identità di suono ed in questi concerti ci sarà tutta la storia musicale di Pino grazie anche alle partecipazioni straordinarie di Tullio De Piscopo alla batteria e di James Senese al sax; tra Blues, rock, jazz, sonorità acustiche e l’immancabile tradizione napoletana, sul palco anche gli amici Rino Zurzolo (contrabbasso) ed Elisabetta Serio (piano).

I biglietti per le date di “NERO A METÀ”, prodotto e organizzato da 55AVE Entertainment e F&P Group (in collaborazione con Radio Italia, la radio ufficiale del tour), sono disponibili online su www.ticketone.it, nei punti vendita e nelle prevendite abituali (per info biglietti: www.fepgroup.it). La data di Conegliano di “NERO A METÀ” è organizzata da AMC EVENTI E COMUNICAZIONE e ENTERPRISE 8.

Nero a Metà (1980) è l’album della consacrazione per Pino Daniele, simbolo di quel sound inconfondibile, diventato suo marchio di fabbrica in Italia e all’estero. Le melodie, la fusione tra tradizione partenopea, blues, rock e jazz hanno reso questo disco un pilastro della musica italiana, tanto che ancora oggi è nella classifica Rolling Stone Italia dei “100 album più belli di sempre” ed è stato premiato ai Music Awards 2014 come uno degli album che hanno lasciato un segno nella storia della musica italiana. Per celebrarlo, l’album è stato pubblicato da Universal Music Italiain una nuova edizione rimasterizzata “NERO A METÀ” Special Extended Edition, disponibile anche in doppio vinile da 180 grammi in edizione limitata e numerata in 1.000 esemplari. Il primo Lp contiene la versione rimasterizzata dell’album originale mentre il secondo Lp contiene i due preziosi brani inediti (“Tira A Carretta” e lo strumentale “Hotel Regina”) e i nove brani in versioni alternative e demo tratti dalle registrazioni originali, già contenuti nell’edizione in cd.

Pino Daniele, Nero a metà forever

Trionfo all’Arena di Verona, meglio la superband dei duetti. Si replica a Napoli in dicembre: “E l’anno prossimo un album di inediti”

«I say i’ sto ccà». Il Nero a metà è contento di essere di nuovo qui, «con la stessa voglia di fare musica di allora, con gli stessi amici-compagni di avventura di allora, più tanti nuovi». Pino Daniele infila il concerto-celebrazione del suo terzo, storico, album, tra un’«Aida» e una «Madame Butterfly», ha preso gusto a rimettere mano nel suo canzoniere vintage, a considerare ogni concerto come una session-storia a parte. I diecimila dell’Arena di Verona si godono l’evento con lui: «Me siento ‘a guerra, il resto non lo so».

A 59 anni il Mascalzone latino si sente davvero «’a guerra», si diverte, pazzea con la chitarra classica, vecchio amore ritrovato, mettendo da parte i plettri, parea con l’orchestra (la Roma Sinfonietta diretta da Gianluca Podio), passione messa da poco alla prova del palco. Torna sul luogo del delitto – un album storico, una «cornice di cui spero di essere degno», da cui iniziò la sua carriera grazie al Festivalbar, dove lanciò «Je so pazzo») – con la consapevolezza di un maestro che vuole attraversare con dignità gli anni del suono di plastica. Elisa, Francesco Renga e Emma sono «giovani con cui mi piace mettermi alla prova», Mario Biondi «un fratellone che divide con me la passione per il jazz e l’improvvisazione», Fiorella Mannoia «un’amica antica». Massimo Ranieri non c’è, problemi dell’ultimo minuti l’hanno costretto a dare forfait: «Spero che potremo recuperare quello che avevamo preparato, un’omaggio all’arte di Eduardo, tra teatro e cinema, nel trentennale della scomparsa».

Qualcuno ipotizza che la coppia verace possa spuntare sul palco del Palapartenope il 16 e 17 dicembre: «La risposta di pubblico ci ha convinti a mettere in piedi un minitour, senza orchestra, con un ospite per tappa. Ma è presto per parlarne»: l’11 dicembre a Bari, il 13 a Roma, poi Napoli appunto («per quest’anno facciamo questa cosa qui, nel 2015 riprenderemo la tradizione di “Tutta n’ata storia”»), il 22 a Milano. Al centro dell’operazione la second life di un disco appassionato e appassionante, dove si vedevevano «compagni» che chiedevano poltrone e bambini morire, dove si voleva di più di quegli anni amari (e figurarsi di quelli attuali). «All’epoca eravamo giovani, non capivamo che cosa stavamo facendo, oggi ci siamo resi conto di quale cocktail di poesia e suoni avessimo messo insieme», spiega Agostino Marangolo, batterista originale di «Nero a metà», presente con quasi tutti i compagni di studio dell’epoca: «Il formidabile James Senese al sassofono, che è uno dei motivi per cui credo ancora nella musica, Gigi De Rienzo al basso, Ernesto Vitolo al piano e le tastiere, Rosario Jermano e Tony Cercola alle percussioni», spiega Daniele, che però non ha rinunciato ai suoi attuali colleghi di tour: «Rino Zurzolo, un altro dei miei punti di riferimento sicuri, al contrabbasso, Daniele Bonaviri alla chitarra classica, Elisabetta Serio al piano e Alfredo Golino alla batteria».

L’inizio è orchestrale («Terra mia»), la prima parte dello show è antologica, la seconda si concentra su «Nero a metà», il cuore del concerto più che nei duetti poco centrati sta nel set acustico, nel doppio affondo di «Appocundria» e «Alleria». Elisa si misura subito con «Quando», Renga la segue con «Musica musica», Pino li mette insieme per «Voglio di più». Biondi si scatena in «Sotto ‘o sole» e «A me me piace ‘o blues». Emma esagera come sempre in «’I so pazzo» e «Nun me scuccia’», Fiorella Mannoia è misurata come sempre in «E so’ cuntento ‘e sta» e «Senza ‘e te». Il finale collettivo è riservato a «Napule è» e «Yes I know my way». Le due band si alternano, Senese è il solito, gigantesco, sassofono che ulula alla luna, ma fa sentire anche la sua voce nell’esorcismo di «Puozze passa’ nu guaio».
«I say ‘i sto ccà» come «Voglio di più», come «A testa in giù», come il capolavoro assoluto “Quanno chiove” sono madeleine danieliane che mandano in sollucchero il pubblico: «Questo è un atto d’amore e perseveranza, non di celebrazione e di nostalgia», ricorda Pino, che non si nega, dietro le quinte, a commentare il caso del concerto dei 99 Posse, non graditi a Verona perché «comunisti e napoletani»: «Quando la musica è militante rischia di finire nel mirino. Io non faccio politica, oggi meno che mai, ma da uomo di sinistra mi è capitato di essere stato giudicato da uomini di destra, che sapevano come la pensavo e quindi…». E quindi si gode lo sfizio di far cantare tutta l’Arena nel suo dialetto, anzi nella sua lingua.

Il neapolitan power, intanto, trova nuovi eredi: «Il rap sta a Clementino e Rocco Hunt come il blues e il rock stava a noi. L’hip hop in Italia ha due facce: a Milano fa i conti con il cemento, a Napoli con le radici». Pino conosce la sua strada, anche quando guarda indietro: «L’anno prossimo faccio un disco di inediti, ho cose nuove da dire, ma soprattutto da suonare». Perchè, ancora e sempre, «musica, musica, è tutto quel che ho».

 

di Federico Vacalebre

Pino Daniele si racconta a Sorrisi alla vigilia del suo concerto-evento all’Arena di Verona

   28 agosto 2014

Ha suonato con i più grandi: da Pat Metheny a Chick Corea. Da Gato Barbieri a Eric Clapton. E poi Richie Havens, Noa, Simple Minds, Gino Vannelli. Oltre al gotha della musica italiana, naturalmente. Eppure Pino Daniele, 60 anni il prossimo 19 marzo, non nasconde un pizzico d’emozione per il prossimo evento: il concerto-celebrazione sulle note dello storico album «Nero a metà», pubblicato nel 1980 e da poco ristampato in una versione rimasterizzata zeppa di chicche e rarità.

Con lui sul palco dell’Arena di Verona, il primo settembre, ci saranno anche tanti amici: Mario Biondi, Elisa, Emma, Fiorella Mannoia, Massimo Ranieri e un’orchestra di 50 elementi diretta da Gianluca Podio. «È vero, salire su quel palco sarà un’emozione particolare», conferma Pino. «Perché l’Arena è stato il primo palcoscenico importante che ho calcato. Fu grazie a Vittorio Salvetti, che mi invitò al Festivalbar. A quei tempi era una manifestazione importantissima».

 

E lei presentò un pezzo scandaloso per l’epoca, «Je so’ pazzo», che si concludeva con una parolaccia. Il brano non passava in Rai e molte radio lo sfumavano prima del finale.

«Oggi con quello che si sente in tv farebbe ridere. Eppure è così. Però quella frase non era gratuita e neppure volgare, c’era una certa ironia napoletana in quell’invito a non “scassarmi”».

Perché ripartire da «Nero a metà»?

«Ogni tanto è bello guardare indietro. Quell’album ha segnato la mia carriera (ancora oggi è considerato tra i 100 dischi italiani più belli di sempre, ndr) ed è bellissimo potersi ritrovare con la band dell’epoca: James Senese, Ernesto Vitolo, Gigi De Rienzo, Agostino Marangolo, Rosario Jermano e Tony Cercola».

Tra i suoi meriti c’è anche quello di avere imposto il dialetto napoletano nel pop. Allora, il più importate cantautore napoletano, Edoardo Bennato, cantava in italiano. Nessuno fece resistenze?

«No, fu un passaggio naturale. Io mi esprimevo nella mia lingua, non avrei potuto fare un disco tutto in italiano».

C’è qualche aneddoto legato alla realizzazione di quel disco?

«Più che un fatto particolare ricordo l’atmosfera. Lo incidemmo allo Stone Castel Studio di Carimate, sul lago di Como. Un posto fantastico! Al tempo era all’avanguardia, davvero il massimo. In quel castello ci si poteva immergere totalmente nel lavoro senza interferenze e ci incontravi tutti: De André, Vasco Rossi, Lucio Dalla, Venditti. Si facevano grandi chiacchierate in riva al lago ed era bellissimo perché all’epoca non era tanto frequente per gli artisti italiani incontrarsi. Nessuno collaborava con nessuno. Ci sono tornato di recente, gli studi non esistono più. Ci hanno fatto un albergo».

A proposito di collaborazioni. Anche in questo lei è stato un pioniere, nonché il primo italiano a incidere con grandi artisti stranieri.

«Sì, e anche questo accadde molto naturalmente. Io non sono uno a cui piace tanto apparire e allora non c’era tutto questo marketing che c’è oggi, il business non aveva ancora preso il sopravvento. Credo che certe collaborazioni non siano possibili se non s’instaura un feeling tra gli artisti, se non c’è un reale rispetto reciproco».

Immagino che anche per lei molti di quei nomi, prima che colleghi, fossero dei miti. Ce n’è uno che l’ha impressionata in particolare?

«Non si diventa così grandi per caso. Tutti avevano grande personalità, ma se devo fare un solo nome dico Eric Clapton. Abbiamo suonato insieme a Cava de’ Tirreni davanti a 16.000 spettatori e io ho cantato in italiano una strofa di “Wonderful Tonight”».

Non a caso Clapton è un chitarrista, come lei…

«Che ci posso fare? La chitarra è una malattia. Io in tanti anni non ho ancora capito se preferisco quella acustica o quell’elettrica».

Ma si sente più un musicista o più un cantautore?

«Io mi sento un ricercatore. La musica è ricerca continua e io non ho mai smesso di coltivare la mia».

Ha scritto tante colonne sonore. Non le è mai venuto in mente di tentare la regia, come i suoi colleghi Ligabue e Battiato o addirittura di fare l’attore come Guccini?

«No, per carità, si fa già fatica a far bene una cosa! Io le colonne sonore le ho sempre fatte per amicizia, come per Massimo Troisi, ma mai su commissione. Non ne sarei capace».

Esiste ancora il «Neapolitan Power», cioè l’energia napoletana?

«Eccome no! Clementino, Rocco Hunt, Ntò, il nipote di Enzo Avitabile, che ha scritto la canzone di “Gomorra”. Solo che oggi, invece di cantare, come facevamo noi, rappano».

 

 

di Redazione Sorrisi